Neuromarketing e pubblicità: il caso dello spot di biscotti

Neuromarketing e pubblicità: il caso dello spot di biscotti

Il legame tra neuromarketing e pubblicità è quello più antico e conosciuto tra chi si occupa di marketing e comunicazione. Come può la recente disciplina che studia le risposte inconsce del nostro cervello migliorare le attività promozionali? Scopriamolo attraverso il caso studio di uno spot per un brand di biscotti.

Anche se l’esplosione di blog e interventi sul neuromarketing si è verificata solo negli ultimi anni, molti ricercatori universitari già nel secolo scorso hanno gettato le basi della disciplina grazie agli studi sui processi decisionali (una delle svolte più importanti è stata la teoria del prospetto di Kahneman e Tversky) e quelli sul funzionamento delle aree del nostro cervello. Andando per un attimo indietro nel tempo, si possono trovare scoperte già nella metà del 1800 che hanno permesso di aggiungere un tassello alla conoscenza sul nostro cervello: ad esempio, il caso di Phineas Gage è stato centrale e suscita ancora oggi grande interesse. La storia più recente ha visto una grande spinta in avanti data dall’invenzione della risonanza magnetica funzionale (fMRI) negli anni ’90 del 1900.

Il neuromarketing, parente stretto della neuroeconomia, ha come obiettivo primario la comprensione dei processi mentali di acquisto irrazionali delle persone. Il salto dalle aule dei dipartimenti al mondo della pubblicità è stato relativamente breve.

Neuromarketing e pubblicità: gli esempi di Chrysler e Hyundai

Per comprendere l’importanza crescente del neuromarketing e del suo rapporto con la pubblicità, rivolgiamoci alle aziende che hanno già migliorato la loro presenza sul mercato grazie a studi innovativi e pionieristici. Molti sanno che Google, Amazon, Coca-Cola e PayPal hanno sfruttato il neuromarketing negli ultimi anni. In Italia, è celebre il rebranding di TIM del 2016, il quale è stato supportato da test scientifici. 

Il caso aziendale: DaimlerChrysler

Meno noti sono i casi di DaimlerChrysler e Hyundai. La DaimlerChrysler già nei primi anni 2000 commissionò degli studi che prevedevano l’uso dell’fMRI per comprendere le risposte inconsce di un campione di maschi di fronte a diversi modelli di auto. La scoperta più sensazionale? Le auto sportive attivano il sistema delle ricompense, rivelando l'essenzialità delle emozioni negli acquisti. Inoltre, alla vista di una Mini Cooper si attivava nelle persone l'area del cervello che risponde ai volti umani. La conclusione è chiara: la scelta di un’auto non è certo fatta in modo razionale. 

Il caso aziendale: Hyundai

Hyundai nel 2011 fece testare un modello di auto a 30 persone mentre indossavano l’elettroencefalogramma (EEG); l'azienda era spinta dalla volontà di "sapere cosa pensano i consumatori di un'auto prima di iniziare a produrne migliaia". Le persone erano invitate a osservare ogni parte dell'auto mentre lo strumento registrava le risposte del loro cervello: l'ipotesi confermata era che ciò che dichiariamo di gradire non corrisponde a un acquisto.

Se questi casi non sono sufficienti per testimoniare i tempi mutevoli che stiamo vivendo, basti pensare che l’Unicatt (Università Cattolica del Sacro Cuore) ha dedicato un corso dal titolo “Neuromarketing e Psicologia della Pubblicità” all’interno della sua offerta formativa.

Neuromarketing e pubblicità: il caso studio di uno spot di biscotti

Usciamo dalla teoria e approfondiamo il contributo del neuromarketing alla pubblicità. Per fare questo, immagina di far parte del team marketing di un famoso brand di biscotti. Ti viene chiesto di progettare un nuovo spot che dovrà aumentare le vendite di una percentuale a due cifre. Hai commissionato due versioni a un'agenzia di produzione video e non sai quale scegliere. La situazione diventa più complicata quando realizzi che il tuo team ha opinioni contrastanti.

Guardi i due spot:

  1. il primo è veloce, frizzante e accattivante
  2. Il secondo è più lento, elegante e serio.

Entrambi presentano il prodotto in modo professionale e i video sono di elevata qualità, sia nelle riprese che nel montaggio.

Il primo spot testato.

Il secondo spot testato.

 

In questi casi di stallo decisionale il neuromarketing può aiutare ad uscire dalle fasi di incertezza e dare una guida utile e definitiva nella scelta della versione più efficace. In NeurExplore abbiamo testato questi due spot in laboratorio con un campione di 20 persone, scoprendo quello più performante per il target di riferimento e rivelando le aree di miglioramento.

 

I risultati del test di neuromarketing sulla pubblicità dei biscotti

L’analisi del priming, le associazioni spontanee e immediate, e degli aggettivi, dimostrano come

  1. Il primo spot, anche se troppo rapido nel montaggio, è considerato in modo più positivo
  2. Il secondo risulta per alcuni più banale e finto.

Questa prima indicazione è già molto rilevante per prendere la strada più corretta.

neuromarketing pubblicità spot 1

Priming positivo significa parole che descrivono lo spot in modo entusiastico.

 

I biscotti, pur essendo gli stessi, risultano più genuini se presentati con il primo spot. L’approfondimento degli elementi graditi dei due video fa emergere un dato sorprendente: se nel video che presenta la ricetta dei biscotti vengono apprezzate le caratteristiche di questi ultimi, al contrario nel video con le riprese lente vengono citate soprattutto le componenti tecniche. In questo secondo caso l'attenzione degli spettatori quindi si sposta dal prodotto al video.

Percezione di genuinità

neuromarketing pubblicità spot 2

Il grafico dimostra come le persone ritengano i biscotti del primo spot più genuini.

 

Un test di neuromarketing non è completo senza l’uso di strumenti scientifici. Abbiamo utilizzato eye-tracker e GSR per analizzare e comprendere le risposte non consce delle persone.

I risultati dell'eye-tracker hanno dimostrato che la presenza del piatto in posizione centrale, nonché delle mani del protagonista in movimento, hanno il potere di catturare l’attenzione e tenerla sempre a un livello elevato.
La versione alternativa dello spot dimostra invece che le persone tendono a leggere il video con un movimento da sinistra verso destra, ovvero in linea con quello della lettura. La cascata di zucchero è un elemento che cattura molto l’attenzione.

Infine, l’analisi dell’attivazione del sistema nervoso periferico dei soggetti dimostra come la versione di spot dal ritmo incalzante sia più efficace nell’emozionare. Ciò è dovuto molto probabilmente:

  1. Alla musica coinvolgente e dal ritmo veloce
  2. Al contrasto di colore tra lo sfondo nero e gli elementi bianchi/gialli.

Neuromarketing: le strategie per la pubblicità più efficace 

Il primo spot è perfetto? No, tuttavia ora il reparto marketing di cui fai parte ha una guida precisa sulla strada da percorrere. Al fine di far ricordare meglio il prodotto è consigliato percorrere la via dello spot dal montaggio rapido e dalla musica ritmata.
Tuttavia, le parole che compaiono risultano troppo rapide e quindi spesso ignorate dai soggetti; per favorire la lettura è bene rallentarle e utilizzare un font sans serif, più leggibile.

Il neuromarketing si può considerare marketing emozionale o, come preferiamo chiamarlo noi, marketing scientifico. La storia che sta costruendo questa disciplina con la pubblicità è ancora tutta da scrivere: solo la conduzione di test da parte delle aziende potrà farlo.

 

Riferimenti bibliografici: 

il caso studio di Hyundai e DaimlerChrysler sono stati ripresi da due lavori di laurea delle università LUISS e Ca' Foscari.

Pubblicato il: 20/05/2021

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