Il neuromarketing è etico? La neuroetica spiegata

Il neuromarketing è etico? La neuroetica spiegata

Premere il "bottone di acquisto", manipolare le menti, obbligare le persone con trucchi ad acquistare prodotti e servizi inutili: tutto ciò non fa parte del neuromarketing. Eppure queste affermazioni sono piuttosto comuni e diffuse. Per quale motivo?

Il neuromarketing è etico? Possiamo manipolare le menti?

Ogni nuova tecnologia porta con sé preoccupazioni sulle libertà delle persone, come ogni nuova disciplina è accompagnata da scetticismo e, talvolta, feroci critiche. Basti pensare agli scontri sullo sviluppo delle reti 5G o sull'utilizzo dei vaccini a mRNA.

Il neuromarketing è etico? Esso non è stato trascurato dai dubbi sull’eticità delle sue tecniche. Anzi, proprio la sua natura esploratrice dell'organo più misterioso del nostro corpo - il cervello - ha fatto nascere dibattiti ancora non ancora risolti. Coloro che non si fidano della scienza applicata al marketing si chiedono fino a che punto ci si debba spingere a indagare le emozioni delle persone e quanto sia etico addentrarsi in un luogo considerato intimo e personale.

Si potrebbe rispondere alle critiche in modo breve e semplice: il “buy button”, il famigerato pulsante che, se premuto, spinge ad acquistare in modo compulsivo, non esiste. Migliaia di articoli scientifici vengono rilasciati ogni anno sul neuromarketing: nessun ricercatore ha ancora scoperto come accendere il desiderio al pari di come si fa con una lampadina. Una battuta diffusa tra gli esperti del settore risponde alle provocazioni sulla manipolazione della mente con “magari!”. Non è possibile farlo, e anche se lo fosse, siamo ancora molto lontani.

prof. Ale Smidts

Il professor Ale Smidts, che il 25 ottobre 2002 per primo presentò il suo corso sul comportamento dei consumatori sotto il nome neuromarketing 

La definizione di neuromarketing è incertezza

Il neuromarketing è molto giovane, avendo circa 20 anni, e la sua nascita coincide curiosamente con quella della neuroetica, che si occupa di studiare le quesioni etiche sollevate dalle scoperte delle neuroscienze. In Italia il suo sviluppo è avvenuto più tardi rispetto ad altri paesi come gli Stati Uniti.

Occuparsi di neuromarketing ha diverse definizioni. Significa:

  1. Fare ricerca di tipo accademico per comprendere il comportamento umano
  2. Indagare le risposte del sistema nervoso per ottimizzare le attività di marketing.


Gli strumenti e le tecniche scientifiche misurano l’attività cerebrale attraverso metodologie neurometriche (come la fMRI, ovvero risonanza magnetica funzionale) o biometriche, ovvero analizzando le risposte biologiche e fisiologiche delle persone (battito cardiaco, risposta galvanica della pelle, ecc.). In breve, gli studi di neuroimaging permettono di comunicare meglio ai consumatori perfezionando i messaggi e i mezzi per arrivare ad esse grazie a tecniche provenienti dalla medicina. Scienza è sinonimo di incertezza, prove ed errori, conferme o sconfitte, non trucchi o scorciatoie.

Le realtà che si occupano di marketing scientifico utilizzano (non usiamo il termine sfruttare) anche meccanismi innati dei nostri comportamenti e del modo in cui formiamo i giudizi a vantaggio delle aziende.

Roger Dooley, autore di libri come Brainfluence e speaker di fama internazionale, in un’intervista all’American Marketing Association afferma in modo chiaro che “Il neuromarketing è uno strumento per eliminare le pubblicità peggiori, non necessariamente per creare pubblicità che spingano i consumatori a fare cose che non vogliono fare.” Le aziende non possono che trarre vantaggi da queste tecniche, evitando di spendere risorse ingenti per spot che nessuno guarderà o che lasciano indifferenti prospect e clienti.

Anche un celebre libro fondamentale per ogni neuromarketer quale “Le armi della persuasione” di Robert Cialdini afferma nelle sue premesse che i principi esposti sono dedicati in particolare ai consumatori, in modo renderli consapevoli delle conoscenze utilizzate in comunicazione e nella vendita. Per questo ogni capitolo del libro riporta una sezione intitolata “come dire di no”. La definizione è neuromarketing è quindi anche correttezza e trasparenza, oltre che incertezza.

La previsione non è manipolazione

Un’altra importante motivazione a difesa dell’eticità del neuromarketing riguarda il fine stesso della disciplina. Infatti, occuparsi di marketing scientifico significa prevedere i comportamenti delle persone (e con un’affidabilità che si aggira all’80%). Ciò che analizzano gli strumenti sono eventi probabili, non indotti dagli sperimentatori.

Facciamo un esempio. Alune analisi condotte su dei consumatori hanno permesso di scoprire che le informazioni sugli aspetti biologici degli yogurt, definite come molto importanti, non lo sono nel momento dell’acquisto. Perché accade questo fenomeno? Ciò che le persone definiscono come importante o gradevole non corrisponde sempre alle motivazioni intrinseche le quali spingono a scegliere un prodotto: questo è il limite principale dei focus group. In questo caso pratico l'azienda produttrice non obbliga o spinge i consumatori ad effettuare un acquisto ma mette in evidenza i messaggi più rilevati per loro.

Inoltre, l’integrazione di bias cognitivi fa leva su pregiudizi e meccanismi mentali già insiti nelle persone. Un’azienda di neuromarketing che opera in modo etico utilizza, ad esempio, lo status quo bias in modo da non infrangere le regole della privacy o della GDPR: sono bandite caselle già selezionate se queste non sono previste dalla legge, come ad esempio nella scelta dei cookie dei siti web. Un altro caso riguarda l'impiego del bandwagon effect (effetto carrozzone): farlo in modo etico significa comunicare numeri e percentuali veritiere per attirare i clienti.

Il neuromarketing risulta per questi motivi molto più corretto ed etico di altre tecniche classiche di marketing, che spesso utilizza messaggi esagerati, offensivi per alcune categorie di persone (esemplificativi sono i casi di Uliveto o Pandora) o fa semplicemente dei grandi scivoloni (meglio detti epic fail), per non parlare degli scandali come quello di Cambridge Analytica e Facebook.

esempio campagna pandoraetica neuromarketing esempio fertility day

tweet su terremoto aziendecampagna melegatti

Alcuni scivoloni recenti - o epic fail - del marketing classico

 

Bisogna considerare inoltre che il marketing iper-personalizzato, considerato quasi in modo unanime il futuro dell'e-commerce e della customer experience, permette già di conoscere dati e informazioni personali (e che spesso vengono forniti in modo ignaro) in modo da creare esperieze di acquisto sulle singole persone, non su ampi segmenti di popolazione. Il retargeting è solo il primo passo dell'estrema personalizzazione. Infatti, il futuro è fatto di intelligenza artificiale e metodi predittivi; Netflix ha chiarito nel 2020 il ruolo del suo approccio al machine learning detto Transfer Learning non solo per proporre ai clienti cosa guardare ma anche per comprendere quali titoli produrre.

Inoltre, non è certo una novità che Google sarà sempre meno motore di ricerca e sempre più intelligenza artificiale che prevede le nostre domande. Alcuni sono sicuri che tra non molto ci verranno fornite risposte prima di formulare i quesiti, grazie all'enorme mole di dati a disposizione dell'azienda di Mountain View.

Il neuromarketing è solo all’inizio

Il dibattito sull’etica del neuromarketing è più acceso rispetto a quello riservato ad altre discipline probabilmente per il modo in cui opera. Utilizzando strumenti di indagine provenienti dalla medicina e "leggendo" le risposte inconsce del cervello e del sistema nervoso è comprensibile che le preoccupazioni siano elevate.

Tuttavia, il neuromarketing è solo all’inizio e di strada deve farne ancora molta. I test di laboratorio sono esposti a molti condizionamenti ed errori: precisione degli strumenti insufficiente, significatività statistica non sempre elevata, applicazione non corretta dei risultati.

Circa questo ultimo punto, è bene ricordare che spesso che la fase più delicata è quella della messa a terra delle scoperte scientifiche. Nel passaggio dal laboratorio di ricerca alle pratiche aziendali spesso si commettono errori e imprecisioni, diminuendo così l’efficacia delle scoperte.

Come ultimo punto a favore dell’etica del neuromarketing citiamo il codice creato dall’NMSBA (Neuromarketing Science & Business Association), il cui punto più importante che si legge è probabilmente questo:

I risultati del neuromarketing devono essere consegnati ai clienti senza esagerare o travisare le intuizioni del neuromarketing al di là di quanto scientificamente accettato”.

 

Riferimenti bibliografici:

  • Garofalo, C., Gallucci, F., & Diotto, M. (2021). Manuale di neuromarketing. HOEPLI EDITORE.
  • Ulman, Y. I., Cakar, T., & Yildiz, G. (2015). Ethical issues in neuromarketing:“I consume, therefore I am!”. Science and engineering ethics, 21(5), 1271-1284.

Pubblicato il: 29/07/2021

Torna indietro